Nuovo appuntamento con la rubrica “La parola all’avvocato” curata dagli avvocati […], Maria Serena Primigalli e Marco Baldinotti.
Gli articoli saranno pubblicati settimanalmente. I lettori potranno porre domande che ritengano di comune interesse scrivendo alla mail del nostro giornale: info@tuttosesto.net.
Gentile avvocato, sono un operaio specializzato che il prossimo anno dovrebbe sottoscrivere un contratto a tempo indeterminato, con la propria azienda, la quale però mi ha fatto presente che dovrò firmare il Patto di non concorrenza pena la non prosecuzione del rapporto di lavoro. I vincoli principali sono: la mansione, il tempo (3 anni) e il luogo (la regione Toscana). Le domande che mi pongo, nel caso in cui firmassi, sono le seguenti:
– qualora terminassi il rapporto di lavoro per un qualsiasi motivo, potrò svolgere altra mansione non ben identificata in questo momento, prima della scadenza dei tre anni?
– è possibile inserire una clausola per la quale si rende valido il contratto solo in caso di dimissioni e non di un licenziamento?
– è possibile richiedere delle modifiche a mio favore a quanto sottoposto?
“Caro lettore,
il patto di non concorrenza, disciplinato dall’art 2125 c.c., indica l’accordo tra datore di lavoro e lavoratore avente ad oggetto il divieto di svolgere attività concorrenziali con quelle dell’imprenditore anche nel periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. Il patto di non concorrenza è legittimo purché sussistano i seguenti requisiti a pena di nullità:
- Forma scritta
- Limiti di oggetto (in relazione cioè ad una data attività in potenziale concorrenza con quella eseguita dal datore di lavoro)
- Limiti di luogo (entro una determinata zona territoriale
- Limiti di tempo (la durata non deve essere superiore a 5 anni per i dirigenti e a 3 anni per gli altri prestatori di lavoro
- Deve essere fissato un corrispettivo
La previsione di limiti si giustifica per il fine di contemperare le contrapposte esigenze dell’impresa, di non subire una concorrenza particolarmente insidiosa, con la pretesa del lavoratore, di poter trovare una occupazione nella quale esprimere la competenza professionale acquisita. La Giurisprudenza interpreta in modo elastico questi limiti di oggetto, tempo, luogo in modo da consentire al prestatore di lavoro dopo la cessazione del rapporto un margine di attività, non coperta dal vincolo, che gli renda un guadagno idoneo a soddisfare le esigenze di vita propria e della famiglia (Cass.8641/1990). Infatti il vincolo non può essere così ampio da impedire al lavoratore di esplicare la propria professionalità al punto da comprometterne ogni potenzialità reddituale.
La ratio del divieto contrattualmente assunto è quella di consentire al datore di lavoro di cautelarsi nei confronti dell’ex dipendente che passi al servizio di un’altra impresa. L’aspetto importante è che tale accordo può essere raggiunto in qualsiasi momento dello svolgimento del rapporto e anche dopo la sua conclusione.
Il corrispettivo deve essere congruo, cioè proporzionato all’obbligo imposto al lavoratore. La Legge non stabilisce né la forma del corrispettivo, né la modalità di erogazione. E’ consigliabile, soprattutto se si suppone che il rapporto di lavoro possa durare molti anni, inserire una modalità di rivalutazione economica.
Per quanto riguarda la questione dello scioglimento, occorre precisar che il patto di non concorrenza è equiparabile ad un contratto e può essere sciolto solo con il senso di entrambe le parti. Infatti, è nulla la clausola che affida la possibilità di risoluzione del patto stesso unicamente al datore di lavoro, alla data della cessazione del rapporto o per il periodo successivo. Qualora il patto di non concorrenza venga violato dal datore di lavoro, il lavoratore potrà agire per ottenere il compenso o per risolvere il contratto. In caso di violazione da parte del lavoratore, l’azienda potrà ripetere i compensi già erogati e chiedere il risarcimento dei danni provocati dal lavoratore.
Tuttavia, è complesso chiedere e pretendere delle modifiche alla formulazione del patto, qualora questo rispetti questi criteri generali. E’ però opportuno inserire una quietanza liberatoria (a saldo) la quale, sotto forma di dichiarazione per prassi sottoscritta a fine rapporto, il lavoratore attesti di aver percepito una determinata somma a totale soddisfacimento di ogni spettanza e di non aver altro da retendere dal proprio datore di lavoro“.
Avv. MARCO BALDINOTTI