Nuovo appuntamento con la rubrica “La parola all’avvocato” curata dagli avvocati […], Maria Serena Primigalli e Marco Baldinotti.
Gentile Avvocato,
sempre più frequentemente la cronaca nera riporta spesso di atti crudeli nei confronti dei bambini, vittime innocenti di una vita sempre più frenetica. In alcuni casi sono state le stesse mamme ad uccidere i propri figli, spesso poco più che neonati. Tralasciando la componente morale e psicologica, che ci porterebbe a considerazioni troppo ampie, mi pongo una domanda. Può una madre che uccide il proprio figlio neonato, la quale poi tenta di togliersi la vita senza riuscirci, rimanere impunita?
“Cara lettrice,
è di facile intuizione un dato: l’infanticidio non è un delitto qualunque, non è un omicidio come un altro, e non soltanto dal punto di vista sanzionatorio. La condotta della madre, soggetto attivo del reato, genera nella collettività oltre che un comprensibile sconcerto, anche un certo grado di curiosità, molto spesso morbosa e di questo se ne ha riprova ogni giorno.
La legge prevede che in alcuni casi l’infanticidio debba essere punito in misura decisamente più lieve (da quattro a dodici anni di reclusione) rispetto al reato di omicidio comune, per il quale è invece stabilito che: “Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”.
L’articolo 578 del codice penale prevede infatti una specifica ipotesi in cui l’omicidio del neonato, sebbene non possa ritenersi giustificato, meriti comunque di essere considerato in qualche modo ‘attenuato’ per via delle condizioni di “abbandono morale e materiale” della madre.
La norma in questione tiene a specificare che l’infanticidio in condizioni di abbandono ricorre soltanto quando il fatto avvenga “immediatamente dopo il parto”, giacché in caso contrario si configura non solo il reato di omicidio ma anche l’aggravante di “aver commesso il fatto contro un discendente”.
Per la configurabilità del reato di infanticidio di cui all’art. 578 c.p. è necessario che la madre sia lasciata in balia di se stessa, senza alcuna assistenza e nel completo disinteresse dei familiari, in modo che venga a trovarsi in uno stato di isolamento totale che non lasci prevedere alcuna forma di soccorso o di aiuto finalizzati alla sopravvivenza del neonato.
Occorre aggiungere, inoltre, che la tutela per la madre psicologicamente ed economicamente debole viene estesa addirittura agli eventuali complici dell’infanticidio, con una diminuzione rilevante della pena (da un terzo a due terzi), a condizione però che questi abbiano agito “al solo scopo di favorire la madre”.
Infine, è importante precisare che non si configura il reato di infanticidio in condizioni di abbandono quando la morte del feto sia procurata ancor prima del distacco dall’utero (in tal caso si potrà al più configurare il reato di interruzione volontaria della gravidanza), oppure nel caso in cui al momento del parto il neonato sia già privo di ogni segno vitale“.
Avv. […]